La
vasta gamma di emozioni, suscitate dall'ascolto
dei Klangbilder di Helmut Laberer, nella versione
cameristica come in quella per grande orchestra
ad un primo impatto genera turbamento nell'ascoltatore
che rimane attonito, non di rado in preda allo
sbigottimento. Una reazione soggettiva, del tutto
personale? Può darsi, ma non credo sia
l'unica. Né che sia eccezionale. A poco
a poco però vengono a precisarsi i profili
dell'avveimento sonoro, con una successione di
immagini che filtra attraverso una sorta di coltre
brumosa. E prende corpo l'idea di esser stato
partecipe, pur al mero ascolto, di un evento indefinibile:
qualcosa di arcano e di misterioso, quasi un rito
segreto entro un cerchio di magia.
E si avverte la necessità d'una specie
di rassicurazione, di qualche certezza a cui ancorarsi.
Ed una delle prime domande che l'ascoltatore si
pone è quella di interrogarsi sull'origine,
sulla natura, sul carattere di tali sorgenti del
suono. Ed un altro "perché" verte
sul ruolo che, in quello specifico avvenimento
fonico, hanno svolto le percussioni nella peculiare
dimensione dello scatto dell'inventiva, dell'ispirazione.
Sin
dai dati biografici iniziali l'autore si presenta
in possesso delle credenziali più autorevoli.
Nato a Monaco di Baviera nel 1935, già
a cinque anni Laberer comincia lo studio del pianoforte
e a dieci prende confidenza con i timpani. I suoi
insegnanti sono illustri: Rossmeisel per il pianoforte,
Porth per i timpani e percussioni, Strobl per
armonia e composizione; si perfeziona con Hindemith
a Zurigo (1955) e frequenta, per la direzione
d'orchestra, i corsi di Casals, di ui a Prades,
nel 1953, è il primo timpanista. Comincia
a collezionare premi che scandiscono la sua carriera
professionale in orchestra: I° timpanista
al Tonkünstlororchester di Monaco nel 1950
e a Winterthur nel 1952, assume nella città
svizzera anche la cattedra di percussioni al conservatorio.
Assistente musicale di Tullio Serafin, in Italia
Laberer è dal 1964 al 1978 I° Timpanista
al Teatro dell'Opera di Roma. Ampio è om
catalogo della sua produzione, avviata nel 1969
con il balletto Es e mai lasciata da parte da
allora, interessando vari generi creativi.
Come si manifesta lo scatto dell'ispirazione e
come si traduce in musica? Precisa Laberer: "Ancor
prima di notare la musica sul pentagramma, "vedo"
il suono: lo scrivo subito in partitura. Soltanto
in taluni passaggi comincio a comporre al pianoforte,
normalmente mi dedico sin dal principio alla strumentazione.
Non è soltanto una questione di idee chiare:
quanto, invece, d'immediatezza di ispirazione,
nello stesso modo ne percepisco in anticipo l'esaurirsi:
posso programmare la durata".
Accanto alla consueta bravura di Laberer, balza
in piena evidenza, nell'esecuzone di questi lavori,
l'impegno di Maria Elisa Tozzi, specialmente l'equilibrato
suo senso della misura espressiva, oltre ad una
forbita eleganza di fraseggio e all'adeguata verietà
di tocco. Quelle che sono le caratteristiche del
linguaggio di Mortari, la trasparenza e la piacevolezza
della scrittura, sono appropriatamente valorizzate
dal pianismo della Tozzi, sin dall'avvio di Magie
per Maria Elisa, anno di composizione 1988.
Un CD interessantissimo, tutto da ascoltare.....
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